Matteo 20, 20-28
20 Allora gli si avvicinò la madre dei figli di Zebedeo con i suoi figli e si prostrò per chiedergli
qualcosa. 21 Egli le disse: «Che cosa vuoi?». Gli rispose: «Di’ che questi miei due figli siedano uno
alla tua destra e uno alla tua sinistra nel tuo regno». 22 Rispose Gesù: «Voi non sapete quello che
chiedete. Potete bere il calice che io sto per bere?». Gli dicono: «Lo possiamo». 23 Ed egli disse loro:
«Il mio calice, lo berrete; però sedere alla mia destra e alla mia sinistra non sta a me concederlo: è
per coloro per i quali il Padre mio lo ha preparato». 24 Gli altri dieci, avendo sentito, si sdegnarono
con i due fratelli. 25 Ma Gesù li chiamò a sé e disse: «Voi sapete che i governanti delle nazioni
dóminano su di esse e i capi le opprimono. 26 Tra voi non sarà così; ma chi vuole diventare grande tra
voi, sarà vostro servitore 27 e chi vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo. 28 Come il Figlio
dell’uomo, che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per
molti».
Ascoltiamo la Parola
Spesso ci accorgiamo che siamo ubriachi di immagini, di potere, di rumori forti e suadenti.
Ricerchiamo la possibilità di essere “forti”, in un modo o nell’altro. Così interpretiamo la nostra
università, il nostro lavoro, la nostra famigla. E in questo modo i due apostoli “mammoni”
interpretano perfino il loro cammino di sequela di Gesù: è qualcosa che li renderà, in un modo o
nell’altro, potenti. Ma la vita umana autentica, ci ricorda Gesù, non è un aggiungere e accumulare,
ma un togliere, uno scavare incessante per raggiungere ciò che davvero conta e che ci può dare la
libertà. Come certi monasteri scavati nella roccia. Per questo il servizio agli altri è il modo più vero
e profondo per ricordarci chi siamo e per chi siamo. In una parola, per essere uomini. Come scrive
Thomas Merton, un monaco del XX secolo e grande autore di spiritualità contemporanea,
“l‘orgoglio ci rende artificiali e l’umiltà ci rende reali”.