Vangelo 6 febbraio

Marco 6, 7-13
7 Allora chiamò i Dodici, ed incominciò a mandarli a due a due e diede loro potere sugli spiriti
immondi. 8 E ordinò loro che, oltre al bastone, non prendessero nulla per il viaggio: né pane, né
bisaccia, né denaro nella borsa; 9 ma, calzati solo i sandali, non indossassero due tuniche. 10 E
diceva loro: «Entrati in una casa, rimanetevi fino a che ve ne andiate da quel luogo. 11 Se in
qualche luogo non vi riceveranno e non vi ascolteranno, andandovene, scuotete la polvere di sotto ai
vostri piedi, a testimonianza per loro». 12 E partiti, predicavano che la gente si
convertisse, 13 scacciavano molti demòni, ungevano di olio molti infermi e li guarivano.
Ascoltiamo la Parola
Nel vangelo spesso Marco si diverte a confondere, appositamente, due termini: «discepoli» e
«apostoli». Per tagliare la testa al toro, usa il termine «i Dodici». Essi sono, al tempo stesso,
discepoli e apostoli. Questi due termini indicano cose differenti. Il discepolo è colui che segue, cioè
che “viene dopo”, l’apostolo è colui che è inviato, ovvero colui che “arriva prima”. Come dire, con
un esempio militaresco forse poco calzante, retroguardia e avanguardia. Questa confusione
terminologica non è dettata da un’incertezza dell’evangelica. Al contrario, da una profonda verità,
che ci vuole trasmettere con questi trucchetti narrativi: il discepolo è sempre apostolo e l’apostolo è
sempre discepolo. Cioè non esiste nessuno che ha raggiunto la verità totale della fede cristiana, che
non ha bisogno di mettersi alla sequela di Gesù; allo stesso modo, nessuno che segue Gesù è
esentato dall’essere inviato ai poveri, ai fratelli che hanno bisogno. Così, il vangelo di oggi ci dice
che Gesù «chiama a sé» i Dodici per «mandarli» in avanscoperta, per annunciare il Regno che
cammina incontro all’uomo. Sono due movimenti che disegnano il discepolato e l’apostolato,
contemplazione e azione, sistole e diastole di quel cuore pulsante che è la Chiesa.

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