Apriti – Aprile

           Carissimi sorelle e fratelli parrocchiani.

siamo ormai entrati nelle ultime settimane della quaresima che precedono la Pasqua. In questi giorni, e in particolare nella Settimana Santa, lo sguardo di ciascuno di noi si sposta sulla Passione di Gesù. Nella tradizione spirituale cristiana sono diversi i motivi per cui siamo invitati a contemplare la sofferenza di Gesù.

      Un motivo è che gli uomini sono inclini a sfuggire la sofferenza. È proprio, tuttavia, dell’essere uomini soffrire per la propria esistenza effimera, per i propri limiti e debolezze, per la propria mortalità. Molti però non vogliono ammettere di essere mortali. Si comportano come Dio. È proprio questo il peccato originale: voler essere come Dio, onnipotenti, autosufficienti, indiscutibili. Da questo peccato originale deriva ogni male. Ora devono nascondersi gli uni alla vista degli altri perché in realtà non sono Dio, bensì nudi, come Adamo ed Eva. Ora devono provare invidia l’uno per l’altro e cercare di sbarazzarsi del prossimo, per poter affermare la propria grandezza, come Caino. Durante la Settimana santa la Chiesa ci mostra il Dio sofferente affinché desistiamo dalla nostra mania di grandezza di voler essere come Dio. Contempliamo la sofferenza di Gesù per riconciliarci con il fatto di essere deboli e mortali, osteggiati e minacciati da altri, destinati a morire. Ciò ci rende umani e ci libera dal timore profondo di non poter essere uguali a Dio, come pure dalle sofferenze sostitutive che non ci aiutano interiormente.

Un altro motivo per cui la Chiesa ci mette di fronte alla Passione di Cristo è che in essa possiamo ritrovarci. Ripercorriamo la sua Via Crucis e scopriamo che sono le stazioni della nostra stessa vita. Nella sofferenza di Gesù diventa ammissibile anche la nostra; non dobbiamo più reprimerla, non dobbiamo più sprecare energie per apparire forti quando invece stiamo male. Non dobbiamo più muoverci accuse se siamo in conflitto con noi stessi. Possiamo avere dei problemi, possiamo essere malati. Non siamo costretti a essere sani e normali. In Gesù vediamo che c’è spazio presso Dio per la nostra sofferenza.

C’è ancora un motivo che induce la Chiesa a celebrare la Passione di Cristo. Ci mostra che nella nostra sofferenza (fisica o spirituale) e di chi ora sta patendo gli effetti della guerra, non siamo soli, bensì in compagnia di Cristo.

Il dolore ci lega a Lui. Chi soffre spesso si sente solo, escluso dalla cerchia dei sani, isolato. La celebrazione della Passione ci mostra che la nostra sofferenza ci avvicina a Cristo, anzi è la via per incontrarlo, per essere un tutt’uno con Lui. La comunione con Cristo ci dà la forza di sopportare la nostra situazione. Non dobbiamo sentirci esclusi dalla vita o falliti a causa della nostra sofferenza, bensì ci sperimentiamo come persone toccate da Dio, che ci crede capaci di soffrire con Cristo, per essere anche glorificati con lui.

Concludo riportando il pensiero di un noto autore spirituale che abbiamo incontrato e ascoltato  qualche giorno fa nella nostra comunità: Paolo Curtaz. Le sue parole ci introducono nel significato nella Settimana Santa nella quale Cristo ci ha riconciliati con Dio: settimana chiamata dalla Chiesa la grande settimana, la settimana santa (grande perché è la più importante, santa perché i suoi giorni manifestano la santità di Dio che ci viene comunicata nel Cristo).

“Entriamo nella Settimana Santa: dalle Palme alla Resurrezione, l’ultima settimana di Gesù cola goccia a goccia, minuto dopo minuto così come i cronisti dell’epoca ci raccontano. Fatti che conosciamo, eventi che ancora (mi auguro) suscitano emozione dentro di noi. L’ingresso trionfale nella Gerusalemme che uccide i profeti, barlume di riconoscimento messianico destinato ben presto a scomparire, la cena consumata con i discepoli al giovedì, la lunga notte di solitudine e angoscia al Getsemani, la croce drammatica che inchioda ogni speranza e la travolge e la notte di attesa… Che giorni, amici, stiamo per vivere! Siate presenti, vi prego, siateci nelle celebrazioni liturgiche. Non è folclore ciò che ci apprestiamo a vivere, non è devozione. E’ memoriale, attualizzazione di ciò che Gesù ha vissuto e vive. Non sono bastate le parole e i miracoli, non le parabole sul vero volto di Dio, non l’inaudita notizia di un Dio reso accessibile. Macché, nulla: l’uomo conserva un cuore duro, difficile da capire. Occorre un ultimo drammatico gesto, un segno inequivocabile, indiscutibile. La croce è e resta l’amore infinito che si manifesta, l’unità di misura esagerata per manifestare l’amore di Dio. Gesù uomo, splendido uomo, vero uomo, uomo compiuto e fragile si appresta a fare una volontà amara, a compiere un gesto estremo che resterà segno di contraddizione. Intuisce, Gesù, che quella croce resterà divisione? Che molti si getteranno in ginocchio, finalmente vinti ed altri – ancora e ancora – bestemmieranno? Gesù osa. Gesù accetta. Osa e accetta perché ama, osa e accetta perché crede nell’uomo incredulo. Eccolo, dunque, Dio: nudo, appeso ad una croce, grondante sangue e disperazione. Finalmente cancellato, finalmente allontanato dall’uomo che crede di sapere, che immagina di riuscire. Eccolo: Dio è nudo, svelato, consegnato, donato, vulnerabile e fragile come mai. Per amore, per dono”.

     Buona settimana Santa e buona Pasqua.

Don Tommaso e i confratelli

 

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