Vangelo 29 giugno

Dal Vangelo di Matteo (16, 13-19)

13 Gesù, giunto nella regione di Cesarèa di Filippo, domandò ai suoi discepoli:
«La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?».  14 Risposero: «Alcuni dicono
Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti».  15 Disse
loro: «Ma voi, chi dite che io sia?».  16 Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il
Figlio del Dio vivente».  17 E Gesù gli disse: «Beato sei tu, Simone, figlio di
Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è
nei cieli.  18 E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia
Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa.  19 A te darò le chiavi
del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto
ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli».


Come vivere questa Parola?

Tutti interpretiamo le cose in base ai nostri schemi mentali. Ed è un bene,
altrimenti la vita sarebbe insostenibile: abbiamo bisogno di chiavi
interpretative, di un “paio di occhiali” interiore per leggere quello che ci sta
attorno.
Ma ciò nasconde anche un rischio, quello di ridurre le relazioni con gli altri a
schemi preconfezionati e rigidi. In questo modo, se non stiamo attenti, non ci
concediamo mai la libertà di essere stupiti, sorpresi da una realtà che ci
sorpassa.
Così Gesù, dalla folla, è identificato con qualcuno “già visto”: Giovanni il
Battista, Elia, Geremia… Ed ecco disinnescata la portata della parola di Gesù: è
qualcuno che abbiamo già sentito, tutto qua. Invece, per Gesù come per tutte
le persone che incontriamo, la bellezza della relazione sta proprio nella ricerca
continua, sempre più profonda, di ciò che ci lega, della preziosità mai esaurita
della persona che abbiamo accanto. “Voi, chi dite che io sia?” non è allora una
domanda da catechismo, ma da amico e da fratello. Forse, se ce la ponessimo
più spesso a riguardo delle persone con cui viviamo, la relazione sarebbe
davvero un po’ più libera e più autentica. Avremmo la possibilità di cogliere
davvero che l’altro è un universo vario e multiforme.

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