Vangelo 30 maggio

Marco 10, 46-52
46 E giunsero a Gerico. Mentre partiva da Gerico insieme ai suoi discepoli e a molta folla, il figlio di
Timeo, Bartimeo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare.  47 Sentendo che era Gesù
Nazareno, cominciò a gridare e a dire: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!».  48 Molti lo
rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di
me!».  49 Gesù si fermò e disse: «Chiamatelo!». Chiamarono il cieco, dicendogli: «Coraggio! Àlzati,
ti chiama!».  50 Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù.  51 Allora Gesù gli
disse: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». E il cieco gli rispose: «Rabbunì, che io veda di
nuovo!».  52 E Gesù gli disse: «Va’, la tua fede ti ha salvato». E subito vide di nuovo e lo seguiva
lungo la strada.

Ascoltiamo la Parola
Il cieco Bartimeo deve vincere alcune difficoltà. Prima di tutto, la sua cecità: egli non sa qual è la
strada giusta, non vede con chiarezza la scelta migliore, è imprigionato nelle proprie paure. Poi c’è
il suo rapporto con la comunità, con la folla: prima lo sgridano, poi lo invitano a parlare. La
relazione ambigua e altalenante con gli altri crea difficoltà nel cammino. C’è il «suo mantello», che,
secondo Esodo, è «l’unica sua coperta» (Es 22,26-27), la casa del povero. Ci sono, cioè, quelle
piccole certezze tiepide, che fanno stare al calduccio, nella zona di comfort, ma che impediscono
anche di saltare in piedi per nuovi cammini. Infine ha bisogno di riconoscere la propria fragilità.
Gesù, chiedendogli «che cosa vuoi che io faccia per te?», non lo prende in giro. In fondo, è evidente
di cosa ha bisogno. Ma il «figlio di Davide» chiede una consapevolezza maggiore, vuole che sia
egli stesso ha cogliere la propria profonda fragilità, a offrirla al Signore e a chiedere aiuto.

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