Vangelo 27 giugno

Luca 15, 3-7
3 Ed egli disse loro questa parabola: 4 “Chi è l’uomo fra voi che, avendo cento pecore, se ne perde
una, non lasci le novantanove nel deserto e non vada dietro alla perduta finché non l’abbia
ritrovata? 5 E, trovatala, tutto allegro se la mette sulle spalle 6 e, giunto a casa, chiama gli amici e i
vicini, e dice loro: ‘Rallegratevi con me, perché ho ritrovato la mia pecora che era perduta’. 7 Io vi
dico che così vi sarà in cielo più gioia per un solo peccatore che si ravvede, che per novantanove
giusti i quali non hanno bisogno di ravvedimento”.

Ascoltiamo la Parola
La parabola del buon pastore non descrive semplicemente una persona buona. Il pastore fa
certamente qualcosa di straordinario, ma non si tratta di andare a cercare la pecora smarrita: quello
lo avrebbero fatto in tanti. L’inedita misericordia del pastore risiede nel fatto che, a differenza di
come si usava fare, egli non spezza una gamba alla pecora ritrovata. Era un’abitudine, infatti, per
essere sicuri che l’animale ribelle non cercasse di scappare ancora. Il pastore dà la possibilità alla
pecora di poter scappare ancora. Qui sta la sua misericordia. Allo stesso modo, dire che il nostro
Dio è misericordioso significa dire che il suo perdono a-priori è il fondamento della nostra libertà.
Come un bambino può camminare lontano perché è sicuro dell’affetto dei genitori, così noi
possiamo vivere, respirare, compiere decisioni perché c’è un amore inossidabile e indistruttibile nei
nostri confronti. Che non si spegne con nessuna nostra possibile scelta. Può parere incredibile, detta
così. Ma se entriamo davvero in questa logica, la logica di essere a-priori perdonati, al di là di ogni
nostro gesto, allora nasce in ognuno di noi un nuovo sorriso, andando incontro alle nostre fatiche
quotidiane. Non conta più la prestazione, la gara con gli altri, il confronto, l’immagine di noi
perfetta ad ogni costo…Conta solo ciò che è fondamentale: non possiamo essere non amati.

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